di Giovanni De Giacco

Ci risiamo. Dopo la Cassa del Mezzogiorno e i lavori socialmente utili è la volta dei lavori di pubblica utilità.     E’ l’ultima in ordine di tempo delle iniziative attuate dal governo a sfavore del Sud. Che siano praticamente inutili - perché vanno a ingolfare un sistema già sovraccaricato di personale in più rispetto al Settentrione nella misura di un +33% nel rapporto impiegati/abitanti - è risaputo; che non c’è un effettivo miglioramento del servizio perché i ragazzi non possono nel sistema che li accoglie operare né sanno operare è prevedibile. Andare a tavoletta con una 500 del ‘68 significa comunque andare a non più di 50 orari. I ragazzi non hanno colpe. E’ il sistema che li fa inoperosi, inutili, impossibilitati a fare bene. Si grattano, alternando varie parti del corpo per non irritare la cute aspettando che finisca, nella speranza che non finisca, sapendo che un giorno (ahinoi) finirà. Non nascondo che anch’io avrei colto al volo questa opportunità di fruire di una dignitosa mensilità sforzando le palpebre nel tentativo di tenerle schiuse. I perdigiorno PubblicAmministrizzati erano troppo disperati per non accettare

 

 l’ammortizzatore F.S.E. che li occupa, come una toilette, che ospita un disoccupato preso da un forte attacco di diarrea. Ancora una volta i nostri governanti ci pigliano in giro inzaccherandoci di L.P.U.ppù fino agli occhi, così da renderci ciechi… così un orbo è fatto re. E’ dall’unificazione che esiste una “questione meridionale” e, nonostante i nostri rappresentanti politici, soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, siano stati i più potenti, poco o nulla hanno fatto per risolvere il problema. Negli Stati Uniti, per la Valle del Tennessee sono bastati pochi anni d’intervento dello Stato (vedi le teorie di un certo Keynes) per farne ancora oggi una tra le zone più ricche al mondo. Un secolo e mezzo di fallimenti è un dato oggettivo sconcertante. Non riesco più a ingoiare una certa storia dove imparo che i miei avi sono stati briganti, fascisti, retrivi, provinciali, cattolici masturbatori, pigri, mangiapasta e suonatori di mandolino. Dove nacque uno scienziato che con un punto di appoggio avrebbe sollevato il mondo (magari! Sollevarlo e tenerlo per un po’ a testa in giù, giusto il tempo che un po’ di sangue nella testa di qualcuno riaccenda l’encefalo) e con lenti affondava la flotta romana? E un principe che parlava 7 lingue, scriveva versi e alla cui corte si fondevano mediterraneo e mitteleuropa, oriente e occidente quando nel resto del mondo molti sovrani ignoravano l’uso della scrittura? Il sud ha le potenzialità per essere protagonista: bisogna innescarle.

Finora è stato frenato dalla volontà di una classe politica che lo vuole povero e schiavo, perché alla riverenza e agli inchini ai Borboni e succeduta quella ai democratici politici della repubblica. Per anni ho maturato l’atroce convinzione che noi meridionali fossimo una sorta di “volenterosi carnefici” del nostro destino. Oggi ne sono meno convinto. Anni di fallimenti delle politiche meridionali sono stati un mezzo di dissuasione e di coercizione: un trauma profondo nella psiche e nella coscienza della gente. Bukovskij parlando della sua Bielorussia la chiama ”inettitudine acquisita”, una rinunzia all’azione, una distruzione dell’etica, un’accettazione dell’esistente senza speranza di “uscire dalla gabbia”. Dai Borboni ad Amato poco è cambiato. E’ cresciuto il numero dei cortigiani e beneficiari di prebende. In occasione del voto sia dal polo nord che da sud arrivano promesse. Nel 1886 Crispi scriveva: gli agenti del ministero corrono per le sale e pei corridoi, onde accaparrare voti. Sussidi, decorazioni, canali, ponti, strade - tutto si promette; e talora un atto di giustizia, lungamente negato, è il prezzo del voto parlamentare. Enzo Biagi qualche sera fa concludeva “Il Fatto”:cambiano i protagonisti e la storia si ripete, tutti lo sanno, pochissimi se ne accorgono.

 

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